Paola Magoni e il primo oro Olimpico nello sci alpino femminile: “Era venerdì 17 febbraio, una nebbia fitta e quella voglia di provarci”
È venerdì 17. E per qualche scaramantico potrebbe essere un brutto segnale. Ma in quel venerdì di metà febbraio 1984 a Sarajevo si corre lo slalom speciale femminile. Con il pettorale numero 5 c’è Paola Magoni, che non ha ancora ottenuto un podio in Coppa del mondo, ma che quel giorno deve esordire alle Olimpiadi. Lei che con i suoi diciannove anni e la sua berretta azzurra non ha tempo per la scaramanzia: «Quella stagione non avevo ancora concluso una gara bene in entrambe le manche, nel senso che facevo bene la prima, poi male la seconda o viceversa. Quindi non avevo ancora trovato la giusta via. Sapevo che stavo sciando bene, anche gli allenatori me lo dicevano, ma non riuscivo a mettere insieme le due manche e questo non mi ha mai permesso di fare risultato.»
Una sicurezza che l’atleta di Selvino porta fino al cancelletto di partenza, sulla pista di Jahorina, sede delle gare di sci alpino femminile durante la XIV edizione dei Giochi olimpici invernali. «Sono partita per la prima manche motivata e determinata per cercare di fare bene. Ho sciato bene ed ero a pochi centesimi dalla prima. Allora, tra le due manche, ho cercato di stare calma e di non agitarmi. Sono stata un po’ in casa, ho mangiato qualcosa prima di risalire per la ricognizione. Mi sono detta: “se non vinco oggi, non vinco mai più nella mia carriera”. Ero vicina ed ero in forma. Ero convinta di poter far bene e quindi ho detto: “io la tiro giù a tutta poi se salto vuol dire che non è la mia giornata.»
Una prestazione eccellente e per la maggior parte di spettatori e commentatori sorprendente. Una prima manche di Magoni che lascia spiazzato, ai limiti della paura, anche Giovanni Collodet, storico skiman della nazionale italiana e della sciatrice selvinese: «Mi stava preparando gli sci per la seconda manche e piangeva, un po’ per l’emozione e un po’ per il timore di sbagliare. È stato un momento particolare perché era una persona con cui passavo tantissime giornate insieme. Era come un terzo papà. Vederlo così mi ha toccato, però ho cercato di sdrammatizzare: “Cocco smettila di piangere sennò mi sbagli a fare gli sci e mandiamo tutto a quel paese.” Lui ha fatto il suo solito sorrisino e come sempre non ha sbagliato.»
E poi su, al cancelletto di partenza avvolto in una nebbia che impedisce alle telecamere di trasmettere al mondo delle immagini limpide: «Il nebbione è stato più un fatto di riprese televisive. In realtà noi ci vedevamo bene, non era non era così impossibile. Anzi in altri slalom ho corso in condizioni molto più avverse.»
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