Sul tavolo della cucina scivola lento un panetto di burro senza burro e con il pane senza etto. Mi muovo in mezzo alla nebbia fitta che si sfalda ad ogni passo perché cammino con in tasca un binocolo di panna montata. Seduta sul fianco. E non ho nemmeno il fianco. Sono solo un po’ stanca di rimanere qui appesa sull’altalena, rimbalzo nel vento, mangio brioches alla crema, rispondo a un messaggio.
Forse te ne sei andato con una valigia piena di racconti, sono rimaste gocce appiattite sul vetro, sono scivolate leggere lungo il vetro e hanno disegnato la mia anima sbattuta nel vento. Però era libera e sussurrava fiabe di lunghi viaggi.
Ottobre è sempre stato così. Eccessivo come i suoi colori. Con quella luce che si abbassa e regala penombre dove è facile nascondersi al mondo. È andata così anche stavolta. Sei solo nascosto. Sei solo in letargo. E mi ritrovo a galleggiare senza gravità nello spazio di un pensiero. Che senti i bisogni salirti ovunque, quel bisogno di stringerti, di sorridere, di correre insieme da qualche parte. Li sento anche nella testa. Che la mente è un organo genitale molto esigente.
C’è nell’aria quell’odore di tempo spettinato. Ci sono silenzi che si accumulano come foglie colorate sulla terra umida. Mi inzuppo l’alba e tutto torna ad essere limpido. Sguardi disperati e smarriti sulla soglia di un lampione nel tremolio della sua luce che si confonde con quella dell’alba. Tra l’essere stati e non esserlo più, c’è un infinito ritornare. Ti piove dentro a volte…ma ti riscoprirai sole. O sale.

