Che cosa ci facevano nel week-end scorso centinaia di migliaia di persone nelle strade e nelle piazze d’Italia? Se stiamo a ciò che abbiamo visto e sentito, se prendiamo atto degli striscioni e degli slogan gridati, la risposta è facile. Centinaia di migliaia di ragazzi hanno detto stop al “genocidio” israeliano, viva la Resistenza palestinese, viva il 7 Ottobre palestinese (quello del pogrom di due anni fa!), viva la Flottilla, “l’Italia sa dove stare: la Palestina dal fiume al mare”, Governo Meloni complice, Trump e Netanyahu criminali. Le manifestazioni, benché convocate dalla CGIL e dai Sindacati di base mediante sciopero generale, non hanno minimamente chiamato in causa i problemi del lavoro e, in particolare, la caduta verticale dei salari italiani rispetto al resto d’Europa. CGIL, Cobas e USB hanno preferito “buttarla in politica”: la colpa di tutto è del Governo Meloni. Che cosa c’entra Gaza in tutto ciò? Nulla. Gaza è diventata una piattaforma strumentale, sulla quale si sono casualmente incontrati interessi e pulsioni diverse, dei quali il Sindacato e le forze politiche di opposizione hanno cercato di fare uso contro il Governo. Il cosiddetto “campo largo” si è, persino, presentato nelle Marche e in Calabria con la promessa che, in caso di vittoria, avrebbe riconosciuto lo Stato di Palestina. Mal gliene incolse! La forza di massa che partiti e sindacati si sono proposti di usare è quella dei giovani, che hanno percorso a migliaia le città italiane, gridando gli slogan sopra ricordati. Il fatto è che le piattaforme di mobilitazioni dei giovani su Gaza e quelle della politica e dei sindacati non stanno sullo stesso pianeta. Che cosa vogliono i giovani? Ciò che da sempre chiedono le giovani generazioni, quando si presentano alla ribalta della storia: un mondo migliore. E poiché sono convinti che un mondo migliore sia possibile, che la liberazione dai vincoli, dal male, dal dolore, dall’ingiustizia sia praticabile qui e ora, scendono in piazza con generosa innocenza a gridare la propria domanda. È l’eterna istanza messianica di liberazione, è il motore delle generazioni e della storia. Senza di essa la storia degli uomini girerebbe noiosamente attorno a se stessa, senza mai avanzare, un eterno ritorno, come la pensavano i Greci. Il messianismo è la filosofia ebraico-cristiana della storia. Essa riflette la potenza biologica della vita, che riparte sempre daccapo, che rimargina le ferite, che sostituisce i rami secchi, destinati alla cenere, con sempre nuovi germogli. Tuttavia, questo motore ha bisogno di un volante. Perché ad un movimento di rinascita non basta avere un’anima gonfia di ideali di pace e di giustizia universale, occorrono idee che rispecchino la Realtà effettiva del mondo. Il volante qui non c’è e la politica si è rifiutata di fornirlo. Per evidenti e fallimentari calcoli elettorali si è messa al seguito delle piazze. Perciò il movimento di questi giorni è destinato a non approdare in nessun porto così come è capitato alla Global Sumud Flottilla.
Come da secoli avverte Seneca dai suoi scritti: “Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est” (“A chi non sa verso quale porto andare, nessun vento è favorevole”).
Le piazze sono generose, ma cieche. Rifiutano di prendere atto che Israele è uno stato sovrano, internazionalmente riconosciuto, che sta difendendo la propria esistenza contro un’entità politico militare, Hamas, che prevede nel proprio Statuto la distruzione dello Stato di Israele e che, coerentemente, si è armata, ha fatto attentati e terrorismo dal 1987 fino al pogrom del 7 Ottobre 2023. E ostinatamente rifiutano di prendere atto che, se esiste una speranza di porre fine alla guerra di Gaza, essa risiede tutta nel Piano-Trump. Il Presidente americano esibisce di sé un’idea esagerata, quando proclama che il suo Piano di pace metterà fine a tremila anni di guerra in Medioriente. Al momento basterebbe che ottenesse da Hamas la restituzione degli ostaggi e la consegna delle armi e da Netanyahu il cessate il fuoco. La forza di questo Piano risiede in primo luogo nel consenso dei 22 Stati della Lega araba, della Turchia, del Papa e del Card. Pizzaballa. Percorso tutt’altro che facile, perché Hamas è divisa e perché esistono gruppi ancora più radicali. Un movimento politicamente responsabile scenderebbe in piazza per sostenere il Piano-Trump. Perché non lo fa? Perché, alla fine, Gaza è solo un attaccapanni, cui appendere speranze, sogni, velleità, simboli. Troppo per un attaccapanni e troppo poco per Gaza.


