Intervista a Pietro Orlandi: “Mia sorella Emanuela la cerco da 42 anni, non mi arrendo. I depistaggi, quei ricatti infiniti, i servizi segreti…”
La scomparsa di Emanuela Orlandi è uno dei cold case degli ultimi 50 anni. La testimonianza del fratello Pietro Orlandi a Lovere, ospite di Araberara.
Pietro Orlandi. Fratello di Emanuela Orlandi. Che sulla vecchia carta d’identità, alla voce professione potrebbe esserci scritto quello. Già, Emanuela Orlandi, il più grande cold case della storia d’Italia negli ultimi 50 anni. Una storia che hanno raccontato o provato a raccontare in tanti senza trovare il vero bandolo della matassa, un bandolo che qualcuno tiene ben stretto da qualche parte, come un filo d’Arianna.
Pietro vive a Roma con la moglie e i sei figli e dove si prende cura di sua madre, che ora ha 95 anni e che, ogni volta, continua a chiedergli quando torna Emanuela. Già, era il 22 giugno del 1983, Emanuela aveva 15 anni, compiuti il 14 gennaio, penultima figlia di Ercole, commesso della Prefettura della casa pontificia, e Maria Pezzano. Abitava in via Sant’Egidio all’interno del Vaticano coi genitori, tre sorelle e un fratello: Natalina, Federica, Maria Cristina e Pietro. Quel giorno mercoledì 22 giugno Emanuela uscì di casa tra le 16.00 e le 16.30 per recarsi alla scuola di musica in piazza Sant’Apollinare. Prima di uscire di casa, sia per il caldo sia perché era in ritardo, la ragazza aveva chiesto al fratello Pietro di accompagnarla; ma Pietro aveva un altro impegno, Emanuela, uscì sbattendo la porta. Fu l’ultima volta che Pietro la vide. Sono passati 42 anni, in mezzo è successo di tutto, e anche di più.
Tutti parlano di Emanuela Orlandi, tutti conoscono il suo nome, quasi fosse un’entità dentro un groviglio di intrighi, ma aveva solo 15 anni, era un’adolescente, tu eri il fratello maggiore, ci descrivi com’era tua sorella Emanuela?
“Una ragazza come tante, con le sue passioni, i suoi sogni, quelli di tutte le quindicenni, una ragazza normalissima, in quel periodo in particolare eravamo legatissimi, condividevamo tantissimo, lei suonava il flauto traverso, il pianoforte e il canto corale alla scuola Saint’ Apollinaire, era la sua passione, e poi aveva la sua compagnia di amici che facevano parte della parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, frequentava il liceo scientifico ed era legatissima alla sorella più piccola, Maria Cristina, che ha due anni di meno di Emanuela. Io ho 9 anni più di lei. Ho 66 anni”.
Lei oggi avrebbe 57 anni.
“Si, lei ha fatto i 57”.
Tu usi il presente, io il condizionale…
“Sì, mi viene naturale, fino a che non la trovo, fino a che non trovo lei o i resti, io continuo a cercarla e a considerarla viva”.
Ti ricordi un episodio particolare di Emanuela che porti con te?
“La litigata dell’ultimo giorno. Mi chiese di accompagnarla alla scuola di musica ma io all’epoca ero fidanzato, avevo un altro appuntamento, ricordo una discussione sulla porta, lei insisteva, io avevo da fare, ha sbattuto la porta e se ne è andata, non l’ho più rivista”.
Quanti eravate in famiglia?
“Quattro sorelle, io, mio padre, mia madre e mia zia che abitava con noi, Maria Cristina era l’ombra di Emanuela, per me resta la piccola di casa anche se ha 55 anni. Abitavamo in Vaticano, mia madre abita ancora lì”.
La mamma ha 95 anni, parla ancora di Emanuela?
“Sempre, mi chiede sempre ‘Emanuela l’hai trovata?’, ha un’età importante, 95 anni e comincia un po’ a perdere i colpi. Se stiamo parlando di Emanuela e vedo che va in depressione la distraggo e cambio argomento. Papà Ercole è morto nel 2004, un anno prima di Papa Wojtyła, è morto portandosi dentro questo dolore senza sapere cosa è successo”.
Tu hai raccontato una volta che tuo padre, prima di morire, ha detto che è stato tradito da chi ha servito.
“Sì, mio padre ha sofferto molto, era un vaticanista convinto, legatissimo ai Papi, lavorava in Vaticano, si occupava delle udienze del Papa, in piazza e di quelle private, un ruolo importante, erano in due a svolgerlo, si alternavano, non aveva, come pensa qualcuno, nessun contatto con i soldi. Era lontanissimo dal mondo della finanza, lavorava a livello organizzativo e amava servire il Vaticano e quindi ha vissuto ancora peggio quello che è successo, anche perché mio nonno prima di lui faceva lo stesso lavoro in Vaticano, era entrato nel 1920. Mio padre è nato in Vaticano, e il Vaticano era parte della nostra famiglia. Ricordo l’infanzia lì, per noi era il posto più bello del mondo, Papa e Cardinali erano quasi di casa, e quindi sono ancora più arrabbiato nel vedere che quella che consideravamo la nostra famiglia ci ha voltato le spalle”.
Dagli intrighi internazionali a quelli del Vaticano, in questi anni si sono aperte tantissime piste, tu ti sei fatto un’idea?
“Io all’inizio neanche conoscevo la parola servizi segreti, l’avevo sentita solo nei film, nemmeno pensavo esistessero, e invece ci siamo ritrovati in quest’incubo. I primi giorni ci hanno lasciato completamente soli, al momento non avevano accettato nemmeno la denuncia di scomparsa, nessuno indagava, nessuno faceva niente. È cambiato tutto quando c’è stata la richiesta dei presunti rapitori per lo scambio con Ali Agca, l’attentatore del Papa, lì è cambiato tutto. Sono intervenuti tutti, la polizia, i carabinieri, la Digos, il Sisde, il Sismi, lì ho capito chi erano in servizi segreti ed è stata un’escalation. Poi sono intervenuti anche quelli francesi, quelli della Germania dell’Est, addirittura dal nostro avvocato arrivò anche un esponente dei servizi segreti militari russi, insomma la situazione era talmente complicata che la nostra famiglia era stata quasi messa da parte. Era qualcosa che andava al di là della famiglia, non era un rapimento o un ricatto alla famiglia, andava oltre. Molto oltre e noi ci sentivamo impotenti”.
Tu hai incontrato Ali Agca.
“Sì, sono stato in Turchia, in Italia gli è stata concessa la grazia nel 2000, doveva scontare poi altri 10 anni in Turchia e nel 2010 l’ho incontrato. Mi ha raccontato la ‘sua’ verità, ognuno in questa storia racconta la propria. Lui ha dato la responsabilità al Vaticano, secondo lui Emanuela era ancora viva e stava in un ambiente gestito dal Vaticano. Se ci ho creduto? Beh, sono il fratello di Emanuela e quando uno mi dice che è viva io mi attacco alla speranza che sia vero, ma so da me che Ali Agca è un personaggio, diciamo ‘particolare’ che ha raccontato cose un po’ strane ma non posso completamente abbandonare questa pista. Sai, a volte mi criticano perché dicono che seguo troppe piste, ma in ognuna trovi frammenti di verità, come faccio a scartarle a priori?”.
Dieci anni dopo il rapimento vi avevano detto che Emanuela era stata ritrovata in Lussemburgo.
“Era il 1993, eravamo convinti fosse lei, perché gli inquirenti ci avevano detto che era stata trovata, in un convento. Sono venuti con noi i magistrati, il capo della Mobile, insomma, tutti, e quindi ci eravamo convinti, per noi non era andare a riconoscere se fosse lei o meno, ma andarla a prendere. Ricordo che eravamo io, mio padre e mia madre, le sorelle aspettavano a Roma. È bastata una frazione di secondo, era in una stanza, l’abbiamo vista, non era lei, ricordo l’espressione disperata di mia madre, illusa e poi di nuovo nell’incubo, bisognava ricominciare da capo. Quel giorno è stato anche più brutto del giorno della scomparsa, perché siamo passati dal momento più bello che ci eravamo immaginati al più brutto”.
Tra le varie piste c’è soprattutto quella che porta a Londra, quei famosi cinque fogli che sono arrivati anche alla nostra redazione e che sono stati ritrovati in una cassaforte in Vaticano.
“I fogli stavano all’interno di una cassaforte del Vaticano, e li ha forniti Francesca Immacolata Chaouqui, lei lavorava lì, all’ufficio affari economici. Dicono che sono falsi ma come mai se sono falsi stavano dentro la cassaforte in Vaticano? Su questa domanda non ci hanno mai risposto”.Dicono che sono falsi per l’intestazione che non sarebbe corretta, si parla di ‘Reverendissima Eccellenza’ quando si dovrebbe dire ‘Sua Eminenza (o Eccellenza) Reverendissina’
“Ma questa è una stupidaggine, e quei fogli avrebbero meritato un approfondimento della Procura”.
In quei fogli si dice che Emanuela era finita a Londra.
“Esatto, consideriamoli per un attimo veri. Emanuela sarebbe stata portata a Londra per motivi che non conosciamo, e tenuta lì tra ospedali, suore e altri luoghi. Fogli che tirano in ballo il Cardinale Tauran e l’allora Arcivescovo Giovan Battista Re. Tauram ora è morto, sono convinto che chi sa tutto è il Cardinal Re, lui è a conoscenza di tutto”.
L’avevo intervistato qualche anno fa, avevamo parlato anche di questioni molto delicate come la lettera di dimissioni di Paolo VI, di Giovanni Paolo I, ma quando gli ho chiesto di Emanuela Orlandi mi ha fermato dicendomi che di quello non si doveva parlare, avevo in mano un foglio con alcune domande, ha preso la penna e ha tracciato una linea e ha chiuso la questione.
“Ecco, ti rendi conto? Si parla di tutto e quando si arriva a Emanuela si bloccano, Mi criticano ma se è vero, ed è vero, che il Vaticano è lo Stato più piccolo e potente del mondo, se fossero davvero puliti si metterebbero a disposizione per chiarire una vicenda che si trascina da 42 anni. Quando lo hai intervistato?”.
Nel 2017, 8 anni fa.
“Il periodo in cui sono usciti i 5 fogli. Io lo so che dicono che sono anticlericale ma qui la religione non c’entra, io parlo di persone che consideravo parte della mia famiglia, per questo sono ancora più arrabbiato. Per mio padre la voce del Papa era la più vera in assoluto di tutte e quando, sei mesi dopo il rapimento, Giovanni Paolo II venne a casa nostra e ci disse che esisteva il terrorismo nazionale e quello internazionale e quello che riguardava Emanuela purtroppo era internazionale, ma che stava facendo di tutto per chiudere la questione in modo positivo, per noi, detto da Giovanni Paolo II, era come dire che ce l’avrebbero riportata, avevamo massima fiducia nel Vaticano e invece da quel giorno lui ha permesso il silenzio e l’omertà sulla vicenda”.
C’è anche una pista sessuale che però tu non prendi molto in considerazione.
“Non credo si tratti di un abuso da parte di qualcuno, se così fosse avrebbero accusato un monsignore morto da tempo o avrebbero trovato un’altra soluzione. La situazione credo sia molto più complessa, se si tratta anche di sesso potrebbe essere servito come strumento di ricatto, ma se vai a ricattare lo Stato più potente del mondo, non lo fai con una bambina di 15 anni, non può essere solo sesso. Se la pista sessuale ha avuto un ruolo è servita per accrescere l’oggetto del ricatto”.
C’è un ricattatore e un ricattato ma il ricatto, dopo 42 anni, c’è ancora?
“Dipende dall’oggetto del ricatto, magari non c’è più, ma al di là di tutto c’è qualcuno che ha in mano le prove”.
Entra in scena anche la banda della Magliana.
“Ci sono tanti indizi che portano in particolare a De Pedis. Ma, secondo me, e ne sono abbastanza certo, De Pedis ha avuto un ruolo di manovalanza, lui e qualche suo scagnozzo, sappiamo benissimo che De Pedis aveva contatti con i servizi segreti, lo nascondevano nei loro appartamenti, ha avuto rapporti anche con il card. Casaroli, segretario di Stato, in più di un’occasione lo ha aiutato. Come quando, incarcerato a Regina Coeli, carcere vecchio e scomodo, aveva chiesto di essere spostato a Rebibbia e Casaroli lo fece spostare. Aveva anche legami fortissimi col Cardinale Poletti, insomma, si muoveva bene all’interno delle mura vaticane”.
Il ricattatore non era quindi la banda della Magliana o un suo componente.
“No, pensa un attimo, un ricattatore della Banda va a ricattare lo Stato Vaticano… quanto sarebbero durati? Due mesi, e li avrebbero presi, in Vaticano allora, con Giovanni Paolo II, erano amici di Reagan, della Cia, erano di casa in Vaticano, se il Vaticano avesse avuto un problema con la malavita li avrebbero presi in poco tempo”.
Ma che genere di ricatto può essere per prendere una ragazzina? Ti sei fatto un’idea?
“Un ricatto molto alto ed Emanuela era un mezzo, un ricatto che riguarda le fondamenta dello Stato Vaticano. Sono passati 42 anni e l’atteggiamento del Vaticano non è cambiato nei confronti di questa vicenda, si possono leggere centinaia di libri sul Vaticano ma se non lo vivi da dentro non lo comprendi. Il ricattato è tutto lo Stato Vaticano e non faranno mai uscire nulla su quello che è successo, può essere un ricatto, economico, politico ma che riguarda chi voleva gestire quello Stato”.
Il Vaticano si è chiuso a riccio da subito…
“Sino a quando è morto mio padre lo abbiamo seguito insieme, poi dopo la sua morte ho capito che dovevo cambiare atteggiamento, basta con questa sudditanza psicologica nei confronti di chi non voleva per niente collaborare. E così sono partito con manifestazioni e petizioni. Quando ho fatto la prima petizione avevo tutti contro, mi dicevano che ero matto a fare una petizione al Papa, pian piano però l’atteggiamento della gente è cambiato, ho cominciato a trovare molta solidarietà, anche durante le manifestazioni in piazza San Pietro, immagino che per mio padre fosse impossibile. Io credo che non avrebbero mai pensato che dopo 42 anni fossimo ancora qui, io cerco di tenere alta l’attenzione per trovare la verità, vengo a Lovere, vado nelle piazze”.
Ne sono successe di tutti i colori, depistaggi, minacce e molto altro, hai anche raccontato di un episodio di un giornale arrotolato che ti è stato scagliato contro da un cardinale.
“Era il 1997, era appena stata chiusa la prima inchiesta, lavoravo in Vaticano. Mi telefona un giornalista del Messaggero per chiedere un commento sulla chiusura dell’indagine e molto educatamente dico che mi dispiace, che non c’è stato un minimo di opposizione da parte del Vaticano, hanno accettato in maniera passiva questa archiviazione, evidentemente si sono dimenticati della loro cittadina Emanuela. A un certo punto mi dicono che il Cardinale Castillo Lara, colombiano, vuole vedermi, allora lavoravo allo Ior, pensavo ‘vorrà dirmi qualcosa per l’inchiesta’ e invece lo vedo arrivare con un giornale arrotolato, se lo dava su una mano come un manganello, non capivo, a un certo punto lo srotola e vedo l’intervista che avevo rilasciato: ‘ancora con questo? Ancora con la storia di tua sorella, adesso basta, non ti basta che ti diamo un lavoro in Vaticano? Fosse per me ti metterei nell’angolo più buio’. Se fino a quel momento avevamo dei dubbi, quella era la goccia che fece traboccare il vaso. Raccontai a mio padre cosa era successo, rimase malissimo, quel Cardinale poi venne spostato e rimandato in Colombia”.
Tu hai detto in una battuta, a proposito di lavoro, di essere stato il più raccomandato d’Italia.
“Sì, il Papa venne da me e mio padre e mi disse di andare a lavorare allo Ior. Accettai, mio padre in quel periodo mi vedeva perso, in giro tutto il giorno a cercare una verità che non trovavo, era preoccupato, lo feci anche e soprattutto per lui, ma era un’ambiente dove non ero certo benvoluto. E sentirmi dire che sputavo nel piatto dove mangiavo non mi andava bene, dovevo stare zitto? Dovevo barattare la verità su mia sorella con un posto di lavoro? Marcinkus non mi voleva, si era opposto al Papa ma il Papa non volle sentire ragioni”.
Perché non ti voleva Marcinkus?
“Perché prendermi voleva dire quasi ammettere di avere qualche legame con la vicenda per il Varicano, ma il Papa insistette, comunque me ne sono andato presto”.
Hai sei figli e la moglie, come vivono questa vicenda?
“L’ultimo compie 18 anni in questi giorni, il più grande ha 30 anni, loro e mia moglie sono stati la mia salvezza, mi hanno aiutato a mantenere l’equilibrio interno, altrimenti sarei saltato. Io sono convinto che in un certo senso cerchino di farmi saltare i nervi, per dire che sono pazzo, quel giorno del giornale con il Cardinale l’istinto era di sbatterlo al muro, ma sarei passato dalla parte del torno, la mia famiglia mi serve per non andare fuori di testa. Mi arrivano lettere anonime dove dicono che ho ucciso mia sorella e la tengo nascosta. Ho incontrato tantissimi giornalisti che sono brave persone ma c’è un gruppetto di giornalisti che cerca di screditarmi ogni giorno”.
Anche Papa Francesco ha fatto muro.
“Ci ha detto chiaro e tondo che ‘Emanuela sta in cielo’. Ma come? C’era un’inchiesta aperta, tu sei il Capo di quello Stato, c’è presente mia madre e mia sorella, e dici quello. Quindi sapeva che è morta. Dopo di allora non ha mai voluto incontrarci, stavamo a 200 metri da dove stava lui, aveva incontrato tutti, bastava poco, una parola di conforto”.
Sta indagando la Procura di Roma e ci sono anche due commissioni, una parlamentare in funzione da due anni, cosa speri?
“Devo sperare che ne esca qualcosa, non possono dirmi anche questa volta che non hanno trovato nulla”.
E qui entra in gioco il famoso fascicolo.
“Era il 2011, e il segretario di Papa Ratzinger, padre Georg mi disse che voleva far fare una ricerca su Emanuela Orlandi, e tutto questo divenne un fascicolo che, mi fu riferito, fu portato in Segreteria di Stato, noi chiedemmo di visionarlo e ci dissero che non esisteva nulla. Il Cardinale Bertone, allora Segretario di Stato, disse che il fascicolo non esisteva. Ora ci dicono che il fascicolo c’è, ‘l’abbiamo trovato’ mi hanno detto, ma è riservato, segretato. Perché tutte queste bugie? Dopo 42 anni, se hai la coscienza a posto, non vedi l’ora di collaborare per mettere fine a tutte le voci, chiami la Procura, chiami l’avvocato della famiglia e mostri il fascicolo. Perché tutte queste bugie?”.
E ora un nuovo Papa, Leone XIV.
“Il quarto Papa di questa vicenda. La prima cosa che ho fatto è stata di chiedere di incontrarlo, Francesco si era sempre rifiutato. Comunque, qualche giorno prima del 22 giugno, che cadeva di domenica, proprio l’anniversario, ho parlato con un cardinale amico suo, ho chiesto se durante l’Angelus poteva ricordare Emanuela, anche solo con una preghiera: per mia madre, sarebbe stato bellissimo, per tutta la gente, era proprio di domenica. Il Cardinale mi dice che glielo riferisce lui. Quel giorno vado in piazza, sicuro che qualcosa avrebbe detto.
A un certo punto, alla fine di tutto, il Papa comincia a salutare tutti, i paesi intervenuti, le varie bande e associazioni e poi chiude augurando buon pranzo. Di Emanuela niente. Ci sono rimasto malissimo”.
Credi in Dio?
“Io non ne faccio una questione religiosa, non so nemmeno se ci ho mai creduto, ho fatto il chierichetto, prego, ma a volte mi chiedo che Dio è, se si dimentica dei suoi figli, e non parlo solo di Emanuela ma di quello che sta succedendo nel mondo. Ma il mio credo non c’entra con la vicenda”.
Già, Pietro non molla, non ha mai mollato per 42 anni e il resto ce lo racconta a Lovere… non mancate.

